via Pré

1976
2016

Via Pré, specchio del centro storico

Da sempre il viaggiatore genovese, ovunque nel mondo, appena rivelata la propria provenienza sentiva esplodere l’entusiastico urlo del suo interlocutore: « Oh Genova, via Prè!». Ex marine, agenti segreti del Mossad, cuochi della Marina di Sua Maestà la Regina, elettricisti di bordo da Hong Kong, tutti conoscevano Genova attraverso la sua porta più facile, utile e anche divertente. Il mercatino di piazza Sant'Elena, noto a noi tutti come Sciangai (la pronuncia era più o meno questa) pullulava a tutte le ore del giorno e della notte di una folla eterogenea nei fini e nella provenienza. Si poteva acquistare qualunque cosa, lecita o meno, dalla macchina fotografica giapponese ai preservativi, dalla pistola alle riviste pornografiche, ancora vietate nel nostro paese profondamente clericale e moralista. Il contrabbando, specie di sigarette, era il principale caposaldo economico e sociale su cui si fondava un intero quartiere; donnone con più gonne sovrapposte erano appostate agli angoli dei carruggi, pronte ad una improbabile fuga in caso di retate degli sbirri; in realtà in caso di retate il sistema di allarme era sempre attivo ed efficiente e la merce scompariva quasi per magia. La prostituzione era un’altra colonna portante, capillarmente distribuita, gestita da magnaccia folcloristici ma all'occasione feroci; la legge del mercato portava, in occasione delle frequenti toccate nel porto della flotta U.S.A., la calata di centinaia di professioniste che partivano anche dal Piemonte, dalla Lombardia e dalla Costa Azzurra, per soddisfare le migliaia di marinai allupati dopo mesi di navigazione. Una presenza costante era quella della Military Police, ronde di robustissimi marinai americani che pattugliavano i carruggi con enormi manganelli bianchi di legno, per ricondurre alla ragione gli ubriachi e i riottosi; i locali notturni erano grovigli di luci al neon colorate e bottiglie di alcolici improbabili, per noi ragazzini luoghi alieni assolutamente affascinanti. Si andava a Prè con addosso un brivido peccaminoso e anche un filo di paura, considerando i racconti che sentivamo dai grandi; in realtà era un luogo abbastanza pacifico, se non ti facevi truffare con pacchi riempiti di mattoni e non seguivi furtivi venditori nei carruggi più bui. Via Prè era via Prè, un luogo che seguiva leggi e riti particolari, ma non separato dalla città, dai suoi traffici, dai suoi abitanti divisi  tra  i  quartieri  operai  e  quelli  borghesi; nel dopoguerra il fenomeno migratorio portava migliaia di nuovi genovesi con abitudini, cibi e lingue differenti, ma ognuno prima o poi trovava il suo posto. Moltissimi appena giunti in città iniziavano a lavorare nella grande industria dell’illecito, quando il lavoro vero scarseggiava; poi la vita cambiava, e via, un altro giro. Naturalmente non bisogna pensare che la storia di via Prè e dei suoi abitanti abbia avuto solo un ruolo ai confini della legge, l’osmosi tra Prè e la città creava commercio e anche cultura, come hanno confessato negli anni i cantautori della scuola genovese che proprio al Calipso o allo Zanzibar fecero la conoscenza della musica caraibica o del rock and roll. 

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Quello che colpiva camminando nel centro storico era la presenza di due specie prevalenti in ogni angolo, in ogni piazzetta, in ogni carruggio: gatti e bambini. I gatti, in colonie di decine di esemplari, avevano basi logistiche nelle rovine delle case distrutte dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale. La vicinanza ai mercati, specialmente quello del pesce, era molto apprezzata, al pari della rumenta che all'epoca veniva lasciata agli angoli delle strade in attesa di raccolta. Per buona misura una miriade di volonterose signore di una certa età apparecchiava lauti pranzi di avanzi per ogni dove. I gatti di strada avevano pellicce folte e dure, musi orgogliosi e sfregiati, orecchie strappate ostentate come atti di coraggio guerresco. Non davano confidenza, giusto quel tanto che bastava per ottenere il cibo. Purtroppo negli anni la normalizzazione ha colpito anche loro, sterilizzati e rinchiusi in centri di detenzione felina, fuori dai giochi. Ne sopravvive ancora qualcuno, so dove stanno, ma non li denuncerò mai. I bambini erano dappertutto! Rovistando tra le fotografie spuntano ovunque, come protagonisti sfrontati e allegri o come comparse sullo sfondo, a frotte. Si arrampicano sulle rovine (si, come i gatti) giocano a pallone o a nascondino, le madri controllano ogni tanto dalle finestre, se è il caso tirano un grido per placare qualche rissa.  Usano giochi semplici, palloni o le mitiche carrette, tavole di legno con cuscinetti a sfere come ruote, eccezionali per correre in discesa e fracassarsi qualche dente. La presenza di bambini nelle fotografie di qualche decennio fa è dovuta anche ad una diversa percezione di quella che oggi chiamiamo privacy, non era considerato sconveniente fotografare bambini per strada; oggi non si fa più, ed è estremamente difficile che i bambini giochino in strada, specialmente in centro storico. Capita talvolta e risalta come una cosa strana, alla quale purtroppo non siamo più abituati. Come forse si è capito questo dedalo di carruggi è sempre stato nel mio cuore, una sorta di gran tour in poche centinaia di  metri, un assaggio di quelle meraviglie del mondo che avrei poi cercato negli anni successivi viaggiando un po’ dappertutto; una promessa cosmopolita che ha segnato la mia vita. Per questo quando negli anni questa via, questo quartiere sono stati abbandonati e spenti da politiche urbanistiche e sociali velleitarie e inconcludenti ho sofferto, ho sofferto tra i cantieri infiniti, la fuga degli abitanti, la perdita della memoria, il dissiparsi di uno spirito forse ambiguo ma portatore di vita. Le case abbandonate all'incuria, ai crolli, ai disperati che sono morti sotto le macerie, i negozi chiusi tranne alcuni valorosi e incrollabili sognatori. Poi la resurrezione edilizia, i restauri, le facciate che brillano di nuova e inaspettata bellezza, le trifore, i marmi, i soffitti lignei e i portali di marmo. Con il restauro delle case è iniziato timidamente il restauro della vita sociale, nuove attività, nuove persone, nuovi sapori e odori si spargono sulla via. È abbastanza? Siamo forse sulla strada giusta per riavere una via Prè diversa ma uguale, una via che portava in città i pellegrini e i mercanti nel Medioevo e potrebbe oggi portare i turisti che affollano sempre più numerosi Genova, incuranti di una ospitalità ancora acerba e di uno scarso rispetto per l’igiene pubblica e per la bellezza nascosta di questa via e di tutto il centro antico, che con via Prè condivide storia e problemi. La strada del recupero del centro antico nel suo complesso è ancora lunga e accidentata, mancano ancora buone idee e progetti complessi da sviluppare nel tempo, comunque buona fortuna Prè, altri mille anni di prosperità!  

(dal mio libro "Gente di Pré)